lunedì, dicembre 11, 2006

La rivoluzione dei collegamenti senza fili. Negli Usa accesso libero, l’Italia in ritardo


L’articolo che segue è stato preso dal Corriere della Sera ed è stato scritto da Beppe Severgnini.
Ve lo propongo perchè mi sembra abbastanza interessante.

Girano per Milano in auto, tre o quattro ragazzi insieme, col computer sulle ginocchia
. Quando trovano una rete wireless non protetta — e sono molte! — s’attaccano a internet: scaricano, spediscono, lavorano. Illegale, probabilmente: chiamateli «Wi-Filibustieri», se volete. Ma provate a pensare se, in quelle scorribande notturne, non è nascosta una lezione. Usando fantasia e tecnologia, l’Italia arrugginita forse può sbloccarsi un po’. Iniziamo da capo, così può seguirci anche chi sa poco di computer. «Wireless» vuol dire «senza fili»: un sistema di comunicazione tra dispositivi elettronici che usa onde radio a bassa potenza, e non ha bisogno di cavi. In questo modo i computer (quasi tutti, ormai) possono accedere a Internet facilmente, continuamente e a grande velocità. Basta un punto di accesso (hotspot) collegato a una rete locale (WLAN), ed è fatta. Tra agosto e ottobre ho girato dodici città e università negli Stati Uniti: vi assicuro che la tecnologia wireless sta cambiando la vita, lo studio e il lavoro (undici anni fa, su queste pagine, ripetevo che l’email aveva quel potere: e qualcuno non ci voleva credere). Alberghi, stazioni, aeroporti, luoghi di ritrovo: negli Usa hanno capito che fornire accesso libero alla rete è poco costoso, utile e commercialmente astuto. La catena Starbucks, per esempio, offre connessione wireless a banda larga perché questo porta clienti nei suoi caffè.
La notte, i colleges americani — da Princeton al Vermont, da Yale a Seattle — sono pieni di ragazzi incollati a internet. Andate all’università di Pavia alle due di notte, chiedendo una rete wireless. Se va bene, chiamano la polizia. La bellezza degli antichi cortili sul Ticino è incompatibile con queste novità? E chi l’ha detto? Secondo me, se aprissero di notte, Alessandro Volta scenderebbe dal piedestallo e chiederebbe un portatile. Lo stesso vale per le altre «P Cities» accademiche che il mondo c’invidia: Pisa, Padova, Perugia, Parma, Piacenza. Più avanti è la Bocconi, ma a tutt’oggi—m’informa Mauro Poloni, direttore dei Sistemi informatici —gli impianti wireless sono riservati ai partecipanti ai master Sda (entro gennaio il servizio verrà esteso alla facoltà in via Sarfatti e al Velodromo). L’ingegner Poloni ha una figlia, brava e sveglia, appena rientrata dagli Usa: chieda a lei quant’è semplice laggiù. Voi direte: non possiamo confrontarci con gli Stati Uniti! Bene: allora confrontiamoci con l’India, dove hanno capito che la rete wireless permette di saltare le carenze di infrastrutture (strade insufficienti, città caotiche, reti fisse spesso inesistenti); o con la Scandinavia, dove la tecnologia ha eliminato gli svantaggi della periferia geografica. Poiché come periferia e infrastrutture non siamo messi meglio, perché non tentare soluzioni simili?
Gli italiani hanno voglia di fare, e potrebbero adottare le nuova tecnologia in modo entusiasta, come hanno fatto coi telefoni cellulari. Un’utopia? Forse: ma ditemi cos’altro ci resta. In un’economia bloccata dagli egoismi di gruppo, in cui l’unica novità di successo è stata la fuga di massa (questo, non altro, sono le «medie imprese internazionalizzate » lodate dagli economisti), bisogna inventare qualcosa. Le caratteristiche nazionali— individualismo, intuizione, creatività, socievolezza, ambienti urbani gradevoli — si sposano bene con un sistema che permette di lavorare, produrre, comunicare 24 ore al giorno, dovunque. In Italia oggi ci sono 2.600 hotspot (punti di accesso), ma non bastano. Non solo: salvo eccezioni, sono utilizzabili solo dopo una registrazione. Il decreto Pisanu antiterrorismo (luglio 2005) impone infatti d’identificare tutti gli utenti di una connessione Internet (come se il terrorismo l’avessimo solo noi!). La burocrazia che ne è seguita ha indotto alberghi e luoghi pubblici a lasciar perdere, pensando «Chi ce lo fa fare?». Ve lo dico io, chi ve lo farà fare: la clientela, che chiederà «Avete il wireless? «. In caso di risposta negativa o plateale ignoranza («Uairles?È una cosa che si mangia?»), andrà da un’altra parte. Un’altra difficoltà è legata agli operatori, che considerano il wireless un business come un altro. Telecom, Vodafone e Wind si vantano d’aver moltiplicato i punti d’accesso e lemodalità d’adesione: ma sempre di accesso a pagamento si tratta, e di eventuale, costoso roaming con i partner. Perché Telecom, Vodafone&C non rendono il servizio gratuito? Una prova di generosità potrebbe diventare un segno di lungimiranza, e un piccolo atto di penitenza: l’odioso «costo della ricarica» è un’esclusiva italiana, e ha fruttato agli operatori un miliardo solo nel 2005. Non sarebbe un bel gesto, offrire wireless gratuito per oliare un Paese arrugginito?

FranceschinoPower

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